
giovedì 15 maggio 2008
Cortometraggio - Deadline
giovedì 1 maggio 2008
Cortometraggio di autore: Harvie Krumpet
Post pubblicato su Eos Arte.
lunedì 31 marzo 2008
American Psycho - Scheda e recensione

Da molto tempo non scrivo di film poichè non ho molto tempo libero. L'ultima volta ho scritto di Cloverfield qualche mese fa. Oggi vi posto un interessante film di critica sullo stereotipo di vita Yuppie anno 90.
Titolo originale: American Psycho
Nazione: Usa/Canada
Anno: 2000
Genere: Thriller/Horror
Durata: 101'
Regia: Mary Harron
Sito ufficiale: www.americanpsycho.com
Cast: Christian Bale, Willem Dafoe, Jared Leto, Josh Lucas, Samantha Mathis, Chloë Sevigny, Reese Witherspoon.
Produzione: Lions Gate Films Inc., Muse Productions, P.P.S. Films, Single Cell Pictures, Warner Bros. Distribuzione: Filmauro Uscita prevista: 25 Maggio
Trama:
Patrick Bateman è un ricco broker di Wall Street. Trascorre i suoi giorni al ritmo di una vita altolocata costellata di feste mondane, incontri nei locali più IN, belle donne etc.
Tuttavia Patrick non è un quel normale yuppie surrogato della superficiale bella società newyorchese degli anni 80 che tutti immaginano. La sua vita vissuta in apparente ozio totale è in realtà ricca di situazioni che denotano una crescente prevalenza di un componente folle sulla sua personalità così apparentemente controllata e sicura. Ecco così che le più banali situazioni della sua vita diventano uno spunto per compiere atti macabri e dare sfogo a quell’odio e disgusto verso gli altri di cui tanto è carico il suo io.
Analisi:
American Psyco è tratto dall’omonimo libro di Bret Easton Ellis del quale ha ricalcato solo in parte (purtroppo) la trama. E’ una pesante critica allo yuppismo tipico della società americana degli anni 80, del quale vengono sottolineati l’assenza di qualcosa in cui credere, la superficialità, l’attaccamento al futile, l’imperante carenza di valori. Il protagonista (Patrick Bateman) è il frutto di questa società e fin dalle prime battute il film ci avvicina alle manie che egli ha nel volere essere il migliore, il più bello, il più elegante, il migliore agente di wall street. Patrick si preoccupa di essere perfetto nell’apparenza, la sua è una ossessione in tutto e per tutto (arriva ed essere geloso addirittura di alcuni biglietti da visita più eleganti del suo o arriva ad odiare un suo collega che riesce ad avere un tavolo nel ristorante più alla moda,cosa che lui non riesce a fare.). tuttavia la sua personalità ossessiva non si limita a questo. Patrick ha un fortissima sete di possesso che può estendersi a tutti campi : dal successo nella professione al dominio sessuale durante i rapporti spingendosi al creare un corpo perfetto tramite una cura maniacale per finire al desiderio di sangue.
Proprio questo trasforma la sua persona in apparenza normale in un terribile mostro. Le donne di Patrick che per lo più sono prostitute (più o meno ufficiali) sono vittime della sua sete di possesso, vengono prese in modo selvaggio e costrette a fare giochi erotici omosessuali e non. Questo come tanti altri pasaggi (uccisione di un barbone del suo cane massacrato) ci dimostrano come il protagonista sia perfido, non ha nulla di umano dal punto di vista dei sentimenti fatto salvo per l'arrivismo e la voglia di successo. Egli mantiene un aspetto esteriore perfetto, lo si potrebbe definire per questo un paradosso vivente un illusione di uomo con una personalità disumanizzata da una vita troppo perfetta, talmente perfetta che il fatto stesso di viverla non crea il bisogno di ricercare nulla al di fuori di essa. La perfezione della vita di questo yuppie non si dimostra però una cosa positiva infatti si trasforma nella sua mente in patologia, nella ricerca sfrenata di potere e di dominio crescendo fino alla morbosa brama di governare l’ indominabile : la vita (che poi si traduce nella voglia di uccidere). Patrick passa dall’essere freddo distaccato super preciso ad un mostro spietato che desidera solo sguazzare nel sangue delle sue vittime senza mai sporcarsi il suo completo firmato naturalmente.Infatti con cura maniacale ricopre i luoghi dove vuole uccidere, e indossa guanti di pelle e impermeabile. Questa sua caratteristica è fondamentale, Patrick ricerca nella sua lucidità ossessiva di curare il dettaglio in modo maniacale per cercare di non essere travolto dal vortice di conformismo e anonimità che aleggia nella sua società. Proprio per perseguire questo fine egli è rigoroso in tutti i dettagli : conosce alla perfezione i suoi autori preferiti, gira con i guanti di pelle perennemente in tasca,si scervella addirittura nella distinzione delle sfumature di bianco di un biglietto da visita. La mente di Patrick è decisamente instabile ma tutto lo stress che egli accumula lo porta in un crescendo di follia fino al punto di uccidere chiunque per strada quasi si trovasse in una scena di un vecchio film west costretto a fare giustizia da solo. La follia cresce sempre più e finalmente Patrick cede, dove è finito tutto il sangue versato? Dove sono i cadaveri? è accaduto su serio o sono solo folli fantasie di un super stressato uomo di affari americano degli anni ottanta sopraffatto dalla competizione per il successo?
Considerazioni finali:
American psyco ci illustra in modo critico e particolarmente dettagliato uno spaccato di società, quella degli anni ottanta, nella quale la faceva da padrone il denaro e la sete di successo (non è cambito molto oggi tuttavia). La pellicola è curata in modo molto approfondito dallo scenografo Gideon Ponte che si è preoccupato addirittura di ricercare strumenti tecnologici orginali del tempo. L’atmosfera ricreata ha un effetto di incredibile efficacia su chi vuole farsi un idea dello stile di vita altolocato americano. All’interno del clima yuppie del film si integra perfettamente la presenza fisica con la recitazione del protagonista Christian Bale che si esprime in modo davvero esemplare interpretando la follia in modo eccellente in scatti di ira davvero molto efficaci; e pensare che in un primo momento era stato scelto Leonardo di Caprio che poi ha dichiarato (fortunatamente) forfait. Christian Bale ha sicuramente il fisique du role adeguato per interpretare il folle yuppie americano dedito alla cura maniacale di un corpo di indubbia bellezza e prestanza governato ahimè da un mente non troppo sana e stabile.
mercoledì 13 febbraio 2008
Cloverfield: recensione e finale con elementi nascosti

Riassumo la trama brevemente:
Il film inizia con la scritta proprietà del governo degli Stati Uniti per far capire al pubblico di trovarsi davanti al video del caso Cloverfield contenuto di una memory card. Tutto il film sarà costituito da queste riprese.
Il 27 aprile, alle 6:41: Rob Hawkins (Michael Stahl-David) si alza dopo aver passato la notte con Beth (Odette Yustman), nell'appartamento del padre di lei, a Columbus Circle. Il loro progetto è di visitare Coney Island in giornata.
Il 22 maggio ason (Mike Vogel), fratello di Rob, e la sua ragazza Lily (Jessica Lucas) preparano un appartamento a Manhattan, per la festa di saluto di Rob, che ha accettato un lavoro in Giappone. Hud, migliore amico di Rod viene incaricato delle riprese. Hud passa molto tempo a corteggiare Marlena (Lizzy Caplan).
Durante la festa arriva Beth con un ragazzo e la situazione con Rod peggiora al punto che questo stuzzicando la ragazza la costringe ad andare via. Hud sta riprendendo tutto senza accorgersi di sovrascrivere per errore il video della gita di Rod e Beth a Coney Island.
Ad un tratto il palazzo viene scosso e si sentono rumori molto forti dall'esterno. La città va in black out e subito c'è chi afferma terrorizzato "Un altro attacco terroristico". La testa della statua della libertà viene lanciata via e cade proprio davanti a Rob e gli altri che intanto si sono riversati in strada. E' l'inizio dell'apocalisse. Tutto viene continuamente ripreso per spezzoni. I cinque tentano di fuggire sul ponte di Brooklyn insieme ad altra gente ma il ponte viene dilaniato e Jason muore.Rob riceve un messaggio da Beth che lo informa di essere bloccata nel suo appartamento e ferita. Il ragazzo decide di andare a prenderla nonostante debba attraversare mezza Manhattan. La vicenda prosegue fra gallerie, guerre in strada con l'esercito , morti inaspettate fino a che Rob trova insieme agli ultimi due dei suoi 5 amici Beth ferita nel suo appartamento e la porta via. I 4 si dirigono verso la zona di evaquazione militare e salgono su un elicottero. Il finale non è certamente scontato e lascia spazio ai nostri interrogativi che rimarranno irrisolti (sempre che non ne facciano un sequel visto che le carte ci sono tutte).
Cloverfield è un prodotto cinematografico assai particolare. Non credo che la sua visione avrebbe sul pubblico l'effetto sconcertante che sta avendo se alle spalle non ci fosse stata una disgrazia come l'11 settembre. Se mi perdonate il tremendo accostamento direi che la "trama" è in soldoni la stessa.
Un pericolo improvviso, enorme, fuori di ogni immaginazione, minaccia quella che tutti considerano la culla della civiltà moderna. Un essere sconosciuto che sembra una specie di godzilla, ma in fondo potrebbe essere una qualsiasi delle nostre paure più grandi di ogni giorno (terrorismo incluso), entra all'improvviso in scena decapitando la Statua della Libertà (aveva osato tanto solo Carpenter nell'immagine della locandina in 1997 fuga da New York). La Grande Mela è sotto attacco. Ovunque in Cloverfield (e particolarmente nella scena della testa della statua in quelle appena successive)si percepiscono quei sentimenti tramessi da quei maledetti video stranoti delle strade di Manhattan di qualche anno fa, quando i Godzilla's erano dei Boeing, invase improvvisamente dalla povere e dai fogli di carta svolazzanti.
"Senso di impotenza" è chiaramente la prima cosa che il film ci sbatte sotto il naso. Capiamo che davanti alla fine, improvvisa, incalcolabile, gigantesca e al contempo invisibile non si può far nulla. Si deve solo scappare e sperare che la sorte ci risparmi. Tutto il nostro contemporaneo svanisce in un attimo e a noi non resta nulla, se non il sentimento, che solo nel migliore dei casi da paura si tinge di amore per chi abbiamo accanto. Cloverfield è più simile ad un video di un avvistamento alieno che ad un film e le tecniche di riprese usate sono così ben studiate da renderci completamente assenti dalla realtà. Non resta molto delle potroncine sulle quali siamo seduti se non un ricordo o un labile tocco momentaneo poichè siamo sospesi in un altrove sconosciuto.
Gia ma dove? Che cosa è che ci trascina in modo così potente nella finzione cinematografica?
I fattori sono tanti. Dal punto di vista della tecnica cinematografica avvertiamo subito che protagonista della storia per una volta non è il mostro (alla King Kong) ma dei comuni mortali che sono vittime degli eventi da lui causati. Ognuno di noi potrebbe essere il protagonista. Tutti sappiamo che una realtà simile c' è stata. La consapevolezza che tutto potrebbe essere ancora di nuovo è maledettamente presente in ogni istante della nostr vita. In questo è da cercare la chiave del successo commerciale del film.
Cloverfield mostra momenti che nella realtà sono stati ripresi (ovviamente parlo dell'11 settembre). Momenti a cui comuni persone come noi hanno assistito. Per uno strano meccanismo psicologico vedere i contenuti di Cloverfield risveglia la nostra paura inconscia di assistere ad uno scenario a cui non avevamo mai pensato ralmente.
L'undici settembre è stato l'inizio di un fenomeno di cambiamento sociale non indifferente.
Accanto a tutto questo bisogna constatare il superbo gioco di marketing precedente all'uscita della pellicola mirato a crearne l'attesa e a insinuare il dubbio del reale o finzione.
Per finire sostengo che Cloverfield sia un film molto curato ma partito da un'idea da poco, nel nostro contesto sociologico poi è riuscito ad inserirsi e ad amplificarsi a dismisura fino a brillare di una chiara luce propria fino a riflettersi sui media e diventare fenomeno di massa (a riguardo....non ditemi che finito di vedere il film non vi è venuta la curiosità di andare in rete a carcare qualcosa).
L'idea certo non è originalissima ma lascia spazio a molti interrogativi che ci forzano appena tornati a casa a fiondarci sul web alla ricerca di informazioni. questo significa che il gioco è riuscito e alla perfezione. Moltissimi sono poi gli spunti semi nascosti a cui vi consiglio di prestare attenzione nel finale.
ATTENZIONE SE NON AVETE VISTO IL FILM FERMATEVI ORA.
Nel finale del film ci sono particolari molto interessanti e studiati a fondo (probabilemnte parte di un piano di marketing e non solo ??)
Riporto da un blog:
1. Sembra che alla fine del film, nella registrazione di Rob e Beth, precedente a quella tragica notte venga inquadrato il mare e si veda un ‘qualcosa’ cadere nelle acque.
Per maggiori info a riguardo andate Qua (verso la fine)
2. Alla fine dei titoli di testa si sente qualcuno parlare. Probabilmente si tratta di Rob. Le frasi sono due: Help Us! (Aiutateci) e poi It’s Still Alive (E’ ancora vivo) quindi né lui né il mostro sono morti. Ed ecco la base per il sequel
giovedì 10 gennaio 2008
Carlito's way Sesso soldi e finti paradisi.
Carlos ritorna dopo cinque anni di prigione nei luoghi in cui aveva dominato da gangster per tutta la sua giovinezza con un unica volontà: quella di cambiare vita al più presto possibile. Al suo ritorno ritrova una Harlem molto diversa in cui giovani teppistelli "senza onore" ultimi arrivati si atteggiano a grandi boss, ovunque si può fiutare l'effetto di un vento di cambiamento. Carlos è quasi un estraneo ormai un eroe dei tempi che furono. Il suo volere cambiare è tanto fuori luogo che deve tenerlo nascosto, l'unica cosa a cui pensare è accumulare i soldi necessari per fuggire su una lontana spiaggia "paradiso" con la sua amata compagna, lontano da omicidi spaccio prostitute e prepotenze scontate in ogni momento. La sua presenza nel quartiere non genera più il senso di rispetto che un tempo tutti provavano vedendolo passare, il suo "curriculum" è appena sufficiente a garantirgli una sopravvivenza seppur momentanea.
Ma a Carlos non interessa nulla di tutto ciò, egli vive nell'attesa di raggiungere la tanto sognata cifra senza immischiarsi in affari di nessun tipo.
Purtroppo come accade spesso non basta la volontà. Il destino avverso giocherà un cattivo tiro a Carlos.
Uno splendido film narrato tutto in flashback , un susseguirsi di eventi che forniscono un'accurata panoramica sulla delinquenza e sulla corruzione dei sobborghi newyorchesi (ma anche dei piani alti, basta ricordare la figura dell'avvocato miliardario cocainomane amico di Carlos). Harlem è come un inferno da cui non si scappa, chi ci prova viene annientato. Durante tutto il film si percepisce un senso di nostalgia per la cara vecchia mafia degli anni precedenti. A mio parere De Palma non vuole ovviamente spezzare una lancia a favore della passata scuola criminale ma solamente ricordare come quella sia stata davvero una scuola di cui i nuovi criminali erano allora studenti.
Osservando con attenzione e senso critico non vediamo altro che una realtà degradata ma che in fin dei conti è il prodotto della precedente di cui Carlos era un eroe. Se il protagonista guarda con occhio scettico i nuovi criminali per la loro arroganza non può dimenticare di non essere un santo, è semplicemente uno di loro (forse con maggiore senso dell' "onore" criminale tanto caro alla vecchia scuola) che tenta di scappare dal suo passato.
Dopo tutto, il mondo in cui ritorna Carlos è sempre lo stesso che aveva abbandonato cinque anni prima con la differenza che adesso nessuno ha bisogno di lui. E lui lo sa.
Finalmente capiamo in cosa consisteva il suo eroismo di un tempo: nel potere, come in ogni storia mafiosa che si rispetti.
Carlos ha sicuramente capito tutto questo e la sua apparente nostalgia per il mondo e il rispetto di allora è solo di facciata. Nel profondo ciò che vuole è la fuga verso il paradiso, forse nemmeno tanto delle Bahamas, ma nel senso stretto del termine: il riposo eterno.
A prima vista sembrerebbe che Brian De Palma voglia lasciarci con un semplice finale triste , privo di speranza, un finale che sarebbe tutto sommato adeguato al film e alla società in esso ritratto.
Ma credo che non sia così. Il significato di Carlito's Way è molto più profondo.
In un sobborgo violento e corrotto come Harlem c'è chi riesce a fuggire pur pagando la sua pena.
A mio parere il finale arriva come una benedizione per il protagonista, un espiazione dai peccati commessi in gioventù, tanto feroci e che una semplice gita "ai tropici" non avrebbe potuto certo lavare
Ben altra è la meta e per capirlo è necessario un colpo di pistola a bruciapelo alle spalle sparato da un vile killer. Questo è informato dall'amico di sempre di Carlos trasformatosi in giuda dopo avere appreso della volontà del protagonista di volere fuggire altrove.
Il killer non si ferma e uccide anche il giuda accanto a Carlito. Le due morti sono così vicine ma enormemente distanti fra loro: una rappresenta un'arrivo alla fine, alla stazione dell'inferno Harlem, quella del protagonista invece una fuga, per il paradiso.
Proprio come sussurra la frase sul cartellone in ultima immagine "ESCAPE TO PARADISE".
Non dimentichiamo poi che un' altra persona fugge da quel mondo criminale: l'amata di Carlos. Ed è incinta!
Ecco allora la conclusione della mia tesi. Carlos Brigante ottiene ciò che desidera, la sua fuga per la rinascita, anche se non nel modo in cui immaginava. Alla sua morte trova quel paradiso che tanto cercava nella consapevolezza di avere dato un atto di amore sincero e concreto, alla donna che ha amato: il figlio.
Un nuovo e migliore Carlos Brigante che grazie alla combattuta redenzione del padre vivrà in un posto migliore sicuramente meno malavitoso e corrotto.
Carlito certo di avere fatto il dovuto per l'amata e per il figlio può finalmente trovare il suo paradiso, quello reale e che in fondo sapeva di cercare dall'inizio.
"...sono stanco...sono stanco...." dice e se ne va.
Solo grazie ad una regia così accurata riusciamo a capire che la rivoluzione interna di Carlito è finalmente arrivata.
Credo che De Palma riassuma il succo del film, quel Carlito's Way, nell'inquadratura stupenda finale in cui il punto di osservazione ruota di 180° dal modo di vedere della gente al punto di vista di Carlos sulla barella in procinto di raggiungere la pace.
Il modo di usare la camera in quel momento è l'elemento che da solo mette in chiaro tutto il film: è simbolo concreto che Carlos per potere fuggire deve cambiare la prospettiva: non può più stare tra la gente, la sua deve essere una rottura netta.
Quella saggia rotazione che superficialmente serve a riportare la narrazione dal flashback al presente, in realtà è di più: essa stessa è la rivoluzione al cambiamento di Carlos, è la fine della maledizione.
Ora Carlos ha uno sguardo diverso, sta comprendendo come la sua salvezza sia su una barella; finalmente può riflettere osservando tutti da un altro posto, ha gia lo sguardo in paradiso.
Pubbicato su Eos Arte
giovedì 3 gennaio 2008
Ratatouille: il successo che mancava

Finalmente un bel cartone insomma.
Da non perdere
Eccone il trailer di Ratatouille per chi fosse interessato.
Prendiamo delle spezie, un topolino dall’olfatto sopraffino, un inetto sguttero e inseriamoli nella cucina del migliore ristorante di Parigi per un ora e cinquanta minuti: otterremo la ricetta per un’ottimo timballo di buonumore e risate. Pochi elementi semplici, magistralmente studiati, sono stati sufficienti alla Pixar per realizzare uno dei lavori più belli dopo “Monster&co” e “Alla ricerca di Nemo”. Tutta l’avventura è ambientata nella stereotipo della Parigi della tour Eiffel e delle romantiche effusioni sulla Senna. Un topolino fuggito dalla campagna, dopo avere perso la sua famiglia nelle fogne, si trova solo. Non si lascia abbattere e sale subito in superficie. In quattro e quattr’otto fraternizza con Linguini, un giovane inetto orfano che lavora come sguattero al Gusteau, il migliore ristorante della città. Il ragazzo nota che il topolino in cucina ci sa fare e inizia a portarlo con sè sotto il cappello nel tentativo di farsi comandare come una marionetta. Il trucco riesce e dalla cucina del Gusteau i due sfornano manicaretti eccellenti catturando il gusto del pubblico e della critica ma anche le invidie dei soliti ombrosi.
Ratatuille racchiude in se tematiche importanti.
In primis l’abbattimento dei pregiudizi nei confronti del diverso insegna che non cè motivo di non fidarsi dell’aiuto di una persona, nonostante appaia molto diversa e disprezzata dalla società (il topo).
Un altro insegnamento ci viene dalla feroce quanto scherzosa caricatura di quella critica dell’arte (in questo caso culinaria) fatta da persone dalla mentalità chiusa che giudicano cariche di ego e in base a se stessi invece di cercare di comprendere arte e artista.
Il nuovo film della Pixar porta una ventata di originalità e grazie alla maestria di una sceneggiatura curatissima fra risate mestoli e chef nani riusciamo a filtrare messaggi non sempre scontati e sicuramente attuali.
Imperdibile poi la sequenza di sorrisi assicurati nel cortometraggio che precede il film.
Puoi votare le mie notizie anche in questa pagina.
giovedì 27 dicembre 2007
Recensione di Inland Empire: fra caos sogno ed eccesso continuo

"....automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale...." Breton 1924 Manifesto del surrealismo.
Parole che definiscono bene l'ultimo, spettacolare, onirico, turbolento, lavoro di David Lynch.
INLAND EMPIRE è poesia e allucinazione, paura e tranquillità, sesso e sangue, distruzione della narrazione, anarchia pura dalla realtà e applicazione severa delle leggi dell'interiorità.
Guardando lo schermo si passano quasi tre ore nel continuo susseguirsi di pensieri, fatti, intrecci di storie e persone. Nulla è chiaro e tutto è chiaro. C'è una donna Nikki (in foto) che diventa Sue/Lost Girl/Spettatrice nel pieno tormento dell'uno nessuno centomila. Ci sono luoghi il set/i set/, l’interno/gli interni, Hollywood/Lodz che si alternano, sfondo di allucinazioni o di pensieri. La disgregazione dell'identità e dell'ubicazione geografica segue tortuosi percorsi (mentali?) e non si arresta nemmeno per un attimo.
Lynch mette in scena le illusioni, i moti delle sinapsi, i continui stravolgimenti di una mente e più menti: il dominio sulla realtà di leggi diverse, le uniche giuste, scritte da noi.
L'impero della mente è il luogo interiore all'interno di ognuno di noi dove nessuno può entrare (talvolta nemmeno noi) dove solo la nostra essenza muta ed è in vigore, dove siamo noi a vivere e contare prima di tutto e ad imporre al circostante di essere.
Non cè il senso del tempo, non un momento di continuità, la realtà non può entrare! Qui cè solo l'eternità del pensiero. Non cè nulla da comprendere, nessuno sforzo da fare. Dobbiamo abbandonarci e basta al flusso, solo così possiamo scendere saltare dalla realtà al nuovo regno.
Tutto questo è possibile grazie ad una sola persona: Laura Dern.L'attrice più "surreale" che esista. Ogni sua inquadratura parla come un quadro astratto. Davvero superlativa. Lei è il "di più" che ci permette di addentrarci e annegare nella mente in pieno flusso emozionale. Colei che ci dona lo sguardo del chaos filtrandolo e rendendolo alla nostra portata tramite un volto che è solo turbine di identità in azione.
Ci abbandoniamo dunque senza chiedere nulla, spalancando le porte dell'inesprimibile (nel nostro mondo ma in realtà chiarissimo nella surrealtà) e pattiniamo su flussi di coscienza interminabili, godendo di attimi di pace e sussultando tavolta nel terrore. Non aspettiamo l'attesa di una storia ma godiamo del lusso di vivere prima di essa. Nutriamoci di ogni incrocio di senso che si produce nella danza di emozioni e situazioni fuse come una chimera e rinate sotto sembianze nuove, sperimentali e ignote.
In questo Lynch rinnovato (tra l'altro in questo film ha abbandonato la pellicola per il digitale continuo garantendo parti con colori sbiaditi o sgranature eccessive ma perfette nel contesto della narrazione) troviamo eccessi di ogni tipo, esasperazioni di situazioni stravolgimenti di ciò che è o che sembrerebbe essere. Distruzione di ogni punto di riferimento cartesiano, concretizzazione di ciò che è relativo. Il tempo in primis "..Se oggi fosse domani...." i luoghi narrativi (i diversi set e il film remake da girare all'intern del film) e i personaggi (un singolo individuo può rappresentare tranquillamente persone diverse ad esempio nikki attrice, prostituta etc etc) elementi base per ogni racconto che si rispetti non esistono o meglio, esistono così tanto da essere sublimati all'interno del flusso di mente e rielaborati da essa.
Lynch ha prodotto un opera davvero superiore, un lavoro che offre spunti continui di riflessione di ogni genere.
La lezione è che le relatà non sempre esiste, sicuramente non esiste mai da sola, la potenza della mente la modifica in ogni istante (o forse addirittura si può dire che sia la mente a creare il reale.)
Bisogna abbandonarsi al flusso e lasciarsi immergere fino ad annegare per potere riemergere nel mondo eterno del pensiero. Non chiedere spiegazioni.Ciò che è paura e inquietudine è anche pace e armonia.
A film finito resta molto, o molto poco: armonia, estasi, turbamento, paura, ansia, sorrisi, amore, pianto, sesso, follia. Colori.Nessuna verità. Nessuna finzione.
Questo è il trailer di Inland Empire:
Quest'altro invece mostra una serie di immagini tratte dal film.
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martedì 18 dicembre 2007
Rubrica cinema: L'arte del sogno di Gondry
Ecco il primo....L'arte del sogno di Gondry:una breve recensione....

TITOLO ORIGINALE
The Science of Sleep
NAZIONE
Francia
GENERE
Commedia, Drammatico
DURATA
105 min. (colore)
DATA DI USCITA
19 Gennaio 2007
REGIA
Michel Gondry
SCENEGGIATURA
Michel Gondry
DISTRIBUZIONE
Mikado
SHOP
PROTAGONISTI
Gael García Bernal
Charlotte Gainsbourg
Jean-Michel Bernard
Emma de Caunes
Alain Chabat
Miou-Miou
Aurélia Petit
Pierre Vaneck
Labile è il confine tra sogno e realtà per Stephane, un giovane sognatore inventore creativo, che ritorna nella casa materna dopo anni vissuti in Messico prima della morte del padre. Il giovane soffre di un disturbo percettivo e continuamente mescola reale ad onirico. Il disturbo si accentua al ritorno nella casa dove ha vissuto la sua giovinezza, Stephane diventa incontrollabile. Il suo modo di comportarsi è profondamente in contrasto con le necessità (imposizioni per meglio dire) della vita reale quali lavoro, rapporti familiari etc etc.
Se ne accorge subito Stephanie, musicista sognatrice eterna bambina, a cui il modo di fare del vicino di casa piace molto essendo con lei compatibile in tutto e per tutto. Come è bello passare il tempo nelle fiabe, tutto prende le sembianze di una realtà meravigliosa in cui cavalli di pezza prendono vita e si abbeverano in rigagnoli di cellophane.
Stephane finisce per innamorarsi della dolce vicina. Dio li fa e poi li accoppia verrebbe da pensare. Tutto giusto ma come si sa se gli opposti si attraggono gli uguali si respingono.
Stephane non può superare l'eterno blocco di dichiarare il proprio amore, percepisce sempre rifiuti ( del tutto immaginari e intrisi di allucinazione) stravolgendo continuamente il reale. Stephanie dopotutto immersa nel suo complesso fanciullesco non vuole uomini ma crede che tutti i sentimenti si debbano tessere come in una splendida fiaba; può al massimo comportarsi da mamma amica (la scena in cui accarezza i capelli di lui che dorme). Il loro amore non può nascere se non in un mondo di sogno, lontano dalla realtà, magari su una barca di stoffa con una foresta sopra, navigando chissà dove fra le onde di cellophane.
Gondry ci permette di fare capolino in un mondo parallelo al nostro, un mondo di fiabe ma che per esistere deve servirsi di elementi reali (tutte le scene di "sogno" hanno sempre a che fare con ricordi reali dopotutto).Confuse sono le situazioni della vita di tutti i giorni, sembrano prive di ogni importanza al cospetto della poesia onirica di incessante potenza della mente; eppure talvolta il reale non è poi peggiore del sogno. Tutto ciò che nella realtà crediamo sia importante altro non fa che incatenare sempre più la nostra mente impedendole di esprimersi e mostrare ciò che vorremmo essere.A riguardo forte è l'influsso del pensiero surrealista Bretoniano: L'uomo, che era sognatore, ha perso la capacità di immaginare accettando di lavorare per vivere, ma è scontento. (A Breton).
Gondry con estrema sensibilità traspone tutto questo in situazioni oniriche in cui ci si sente amichevolmente accolti; l'uso della camera a mano ha una particolare efficacia di tramite verso realtà parallele del pensiero. Questo tipo di ripresa si rivela ottima e anche nel mostrarci i continui cambiamenti di umore dei personaggi nei momenti cruciali della loro relazione. Si alternano tenerezza e angoscia, amore e frustrazione, poesia e rabbia. Il messaggio di Gondry e legato ad una continua alternanza.
Non sempre la realtà che la nostra mente crea è idilliaca, armonica, poetica, amichevole e rilassante. Non sempre ciò che viviamo nel sonno è migliore del reale, talvolta affoghiamo nell'angoscia più totale e il risveglio ci da un sollievo particolare, paradossalmente facendoci fuggire nella realtà diversa e amica.
La nostra vita è un insieme di sogno e veglia. Angoscie e paure più o meno reali si mescolano con percezioni di calma poesia e armonia in tutto ciò che facciamo. Ciò che abbiamo davanti agli occhi nella veglia non è il reale ma una particolare revisione di esso. Parimenti il sogno è il risultato di un filtraggio, rielaborato ancora e ancora fino a casi di allucinazione. Il risultato di questa continua mescolanza è talmente concreto da riuscire a forgiare le nostre personalità.
Stephane è l'esempio estremo di tutto questo. Quando il sonno lo coglie all'improvviso egli non fa altro che iniziare un processo di revisione dell'attimo reale. Lo stesso momento, percepito diversamente e influenzato dal suo flusso di coscienza in modo così potente da diventare allucinazione. Ciò che avviene in ognuno di noi in forma molto più moderata non appena facciamo supposizioni su delle situazioni o giudizi di su persone. Non facciamo altro che interpretare mentalmente la realtà; certo non arriviamo all'allucinazione (ma dopotutto quello di Stephane è uno stato patologico) fermandoci ad uno stadio diverso che tuttavia non ci nega di potere iniziare a filtrare elementi che sedimenteranno all'interno di noi e si ripresenteranno puntualmente a livello inconscio senza il nostro controllo.
L'arte del sogno è l'arte dell'interpretazione, l'arte di modellare semplici oggetti come stupendi feticci a immagine di sensazioni e turbamenti, è l'arte del momento presente che sfuma lasciando frammenti di polvere di sentimenti, nutrimento costante di ciò che è e non esiste.
Articolo pubblicato su Eos Arte